Questo è il paesaggio di Vernazza, nelle Cinque Terre, dove Emilio viene a fare il parroco nel giugno 1992. Un borgo di carrugi, di ripide scalinate, di case attaccate una all’altra. È selvaggia Vernazza, il mare la stringe da due parti e bagna con i suoi spruzzi le bifore della chiesa parrocchiale di Santa Margherita d’Antiochia. Una bella chiesa romanica che si è conservata pressoché integra. Emilio l’amava. E amava Margherita, la santa eponima, martire del III secolo.
“Una perla preziosa”, dice Emilio di Santa Margherita alla festa patronale del 1995, 20 luglio. «Nel prezioso ciborio che si conserva nella chiesa di Vernazza, Santa Margherita è raffigurata con il Vangelo sul petto. Questo fa pensare a quanto si dice di Maria madre del Signore: “Custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc, 2, 19). La fede nasce dall’ascolto della parola del Signore, un ascolto che si traduce in obbedienza e in atteggiamento contemplativo». Emilio ripete anche a Vernazza il messaggio per lui fondamentale: leggere e rileggere, meditare e rimeditare la Parola di Dio, in modo che cada sull’anima, come «la goccia d’acqua che cade e ricade sempre allo stesso punto su una lastra di pietra», scrive citando Charles de Foucauld.
Emilio ha molto dialogato con i suoi parrocchiani di Vernazza sulla fede e sul modo di viverla. Nella partecipazione affettuosa e discreta di tutto il paese alla sofferenza di Alexia, che per quindici mesi ha lottato contro il male, vede la trasformazione di «un dolore grande come il mare in altrettanto amore». È il 19 gennaio 1995: nel grande silenzio che avvolge quel giorno la chiesa al funerale di Alexia, Emilio sente «qualcosa di nuovo. Ho osato sperare che Vernazza stesse per ricuperare la sua anima profonda. Ho pensato e penso che Alexia ha segnato profondamente il cuore di Vernazza, ha richiamato tutti al grande mistero della vita e della morte, ai valori che contano oltre la morte». E conclude con quella che per lui era una domanda di fondo: «Si può ridurre la tradizione religiosa a portare in processione il Cristo morto e dimenticarlo il giorno in cui risorge da morte, come primizia della nostra risurrezione?»
«Da tre anni Vernazza è diventata un cantiere», scrive Emilio nel luglio 1995 nel saluto a residenti e villeggianti nel giorno della festa di Santa Margherita. Non perde l’occasione per rilevare che, con tante case in costruzione o rinnovate, le giovani coppie devono lasciare il paese perché non vi trovano alloggio: troppo care ormai. «Certo rende di più un affitto stagionale. Ma così in queste nostre terre ci saranno sempre meno bambini e sempre più vecchi. Che Vernazza, come altre zone rivierasche, sia destinata a diventare nel giro di pochi anni un villaggio turistico, non è una prospettiva allegra».
Vernazza terra di missione. Ci sono stati i missionari nell’autunno del 1995 e, una volta andati via, Emilio medita su quell’esperienza in una lettera ai suoi parrocchiani. Vi troviamo le sue idee sulla fede e sulla chiesa. «Sono sempre più convinto – scrive – che la fede è una ricerca di Cristo che dura tutta la vita. E che per trovarlo bisogna cercarlo insieme. La chiesa esiste per questo. La chiesa è la comunità dei discepoli di Cristo, non solo dei forti ma anche dei deboli, non solo di quelli sicuri ma anche di quelli dubbiosi».
Ma non fa sconti, Emilio, né all’indifferenza «che per alcuni è diventata disaffezione ed estraneità completa», né alla ritualità vaga e occasionale, mentre per il grosso dei credenti richiama una sferzante immagine dantesca: “dietro la insegna si movea tardo, sospeccioso e raro”. L’ora della grazia tuttavia continua: «Occorre solo una cosa. Uscire allo scoperto per essere illuminati da quella Luce che è venuta nel mondo per illuminare ogni uomo… Egli sta alla porta e bussa. Se tu ascolti la sua voce e gli apri la porta, verrà da te».
“La chiesa è la comunità dei discepoli di Cristo, non solo dei forti ma anche dei deboli, non solo di quelli sicuri ma anche di quelli dubbiosi”.
Sono in qualche modo anni felici quelli di Emilio a Vernazza. Pieni, comunque, degli impegni che gli stavano più a cuore. Continua a frequentare i suoi amati Padri, Gregorio innanzitutto, di cui conclude in quel periodo la traduzione dei Moralia in Job. E non trascura i viaggi.
“Non possiamo non amare il tempo, il nostro tempo. Beato chi lo vive intensamente e generosamente, gettando l’ancora oltre il velo…”
Nella lettera di Pasqua 1993 Emilio cita un’amica, ex alunna del Virgilio: «Anna ricorda di Vernazza, cuore delle Cinque Terre, “un porticciolo a misura di barca” e “un microscopico molo per attraccare le barche alla sera, e l’anima». Emilio coglie questa immagine per una riflessione sul tempo. E scrive: «Quanto più ci si rende conto del tempo che inesorabile fugge, più vivo si fa il bisogno di attraccare la barca, e l’anima, ad una fune più solida. Non solo il tempo, ma tutto fugge via velocemente, e occorre essere ben ancorati all’Eterno. Non possiamo non amare il tempo, il nostro tempo. Beato chi lo vive intensamente e generosamente, gettando l’ancora oltre il velo, nel gorgo profondo di quel mirabil regno “che solo amore e luce ha per confine”, dove il Cristo ci ha preceduti come il primo dei risorti».