Sono anzitutto cristiano con voi,
e sacerdote per voi, per parlare di Lui a voi e di voi a Lui Emilio Gandolfo

il mistero della morte

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Don Emilio è morto nella sua casa di Vernazza la notte
del 2 dicembre 1999. Aveva ottanta anni e stava perfettamente in salute.

Che può essere successo tra le 19,30 e le 21 di quel 2 dicembre? Emilio si stava preparando per andare a dormire. Come tutte le sere, infatti, stava stringendo la macchinetta del caffè che avrebbe poi messa sul fuoco la mattina seguente. In quel momento qualcuno deve aver bussato alla porta oppure è entrato e ha fatto rumore. La caffettiera è rimasta semi avvitata, non stretta, segno che Emilio è stato interrotto in questa operazione.

Sono le 19,30 circa (poco prima Emilio aveva telefonato, senza trovare nessuno, ma lasciando un messaggio vocale, a una famiglia amica di La Spezia): Emilio scende al livello della porta d’ingresso che è a novantanove gradini dalla canonica, oppure è costretto a scendere (se l’ingresso dei suoi assassini fosse avvenuto dalla porta sulla via superiore) fino al livello degli uffici della parrocchia davanti all’ingresso in basso. La presenza di Emilio (portato o sceso da sé), nel luogo in questione, è sicura, perché nell’anticamera davanti al portone è stata trovata una grande macchia di sangue.

Emilio viene poi portato su in canonica. Non risultano macchie di sangue sui gradini della scalinata, il che fa pensare che sia stato portato su di peso, magari in una coperta. Comunque, nella sua camera viene battuto a morte. Sul letto viene disteso dagli assassini il grande crocifisso di legno, che era appeso nella stanza.

Nulla è emerso che possa far supporre una rapina. Nell’appartamento sono state trovate 700.000 lire che non erano nascoste ma a portata di mano. Né sono stati portati via un piccolo oggetto d’oro, un orologio Zenith di acciaio e il computer Apple. E neppure la carta di credito con il numero segreto segnato su un foglio tenuto vicino. Né sono stati asportati gli oggetti preziosi in sagrestia. Che cosa hanno portato via? Il cellulare, il mazzo di chiavi, la giacca del pigiama (forse perché conteneva le impronte degli assassini), un piccolo crocifisso nero privo di apparente valore e molto caro a Emilio.

Le gelosie sono state trovate aperte a compasso sulle persiane della camera da letto. Emilio, quando scendeva per la messa pomeridiana, le chiudeva. Chi le ha aperte sapeva che la gente, vedendole schiuse, avrebbe pensato, il mattino dopo, che Emilio era in casa e in buona salute. Il che si è puntualmente avverato, perché il corpo è stato scoperto solo nel pomeriggio avanzato del 3 dicembre 1999, quando il sacerdote non si è presentato per la messa vespertina.

Come si sa che gli assassini sono rimasti fino alle 21? Un giovane ha visto a quell’ora le luci sulle scale che recano in canonica, luci che hanno il temporizzatore.

Risulta che nelle notti precedenti Emilio aveva ricevuto due o tre chiamate mute al citofono e che se ne era lamentato con i camerieri di un ristorante che frequentava e anche con amici con cui era andato a cena a Vernazza il lunedì precedente la morte. Normali rapinatori non si sarebbero preannunciati in tal modo. È certo che il supplizio di Emilio è stato lungo, doloroso e crudele.
Un supplizio per un uomo buono, colmo di Spirito Santo.

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Tutta Vernazza era al suo funerale, un lungo corteo ha accompagnato Emilio all’uscita dal paese, per l’ultimo viaggio.

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Nella chiesa di Santo Stefano del Ponte, la sua chiesa, dove era stato battezzato e ordinato prete, ha avuto una seconda messa funebre. Riposa nel vicino cimitero, come aveva disposto nel testamento, accanto ai suoi genitori e al fratello Agostino.

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Emilio con una sua classe sul terrazzo del Virgilio

L’8 dicembre esce su La Repubblica una lettera a Emilio, con duecento firme: “i tuoi amici”.

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Nel giorno di Pentecoste del 1994 aveva fatto testamento: «Vado incontro al Signore a mani vuote, affidandomi alla sua misericordia… Alla chiesa di Santo Stefano del Ponte dove sono stato battezzato e ordinato prete, vada il mio calice. I miei libri alla biblioteca del Monastero di Bose». I risparmi in banca li divide in cinque parti uguali: ai malati della Compagnia di San Paolo, al seminario di Sarzana, alla parrocchia di Vernazza, alla casa estiva della Compagnia di San Paolo a Tonezza sui monti di Vicenza, alla parrocchia di Santo Stefano del Ponte.

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Il testamento autografo di Emilio Gandolfo

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«Quando si può dire che una vita è compiuta? – si chiedeva Emilio nella lettera di Pasqua agli amici del 1983 – Quando in essa si è compiuto il mistero per cui è stata concepita. Non si nasce a caso né si vive senza scopo. E la morte, più che la fine, è da considerare il compimento… Ecco, “fine” significa “compimento”. E un’esistenza compiuta, perché vissuta giorno dopo giorno nel dono di sé, culmina nella morte intesa come l’atto supremo di amore… Era notte. La notte in cui fu tradito. La notte in cui sembrava che le tenebre dovessero per sempre prevalere sulla luce. La notte in cui tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono. La notte in cui anche il silenzio del Padre pesò su di lui. Nessuno entrò mai così solo e disarmato nella morte come lui».

Nella lettera di Pentecoste 1967 aveva scritto: «Un uomo è uomo se è adulto, se è maturo, capace di assumersi le proprie responsabilità di fronte alla vita, in grado di disporre liberamente di sé per amore, di mettersi a servizio degli altri fino a dare la sua vita. Questo è l’uomo, l’uomo in Cristo».